Il 25 aprile: un impegno costante, oggi più che mai.
- Andrea Martella
- 23 apr
- Tempo di lettura: 3 min

Mentre è sempre forte il dolore per la scomparsa di Papa Francesco, il Papa degli ultimi e della dedizione agli altri, della pace, della fratellanza, della cura dell’ambiente e del pianeta, oggi viviamo una giornata di grande importanza.
Il 25 aprile di ottant’anni fa, l’Italia riconquistava la sua libertà, calpestata da oltre un ventennio di dittatura fascista e da una guerra, voluta dal regime, culminata nella disfatta e nell’occupazione tedesca.
Fu riconquistata, la libertà, grazie ad una generazione di italiani, di giovani donne e giovani uomini di ogni colore politico – erano comunisti e socialisti, cattolici e azionisti, liberali e anche monarchici – che ebbero il coraggio di scegliere la Resistenza e di combattere il nazifascismo.
Ricordare quella pagina, il momento storico in cui ebbe inizio il nuovo cammino del nostro Paese, non è solo celebrare una data: è molto di più. Non per caso quella di oggi, il 25 aprile, è la Festa della liberazione, non semplicemente della libertà. Perché per gli antifascisti italiani, per i nostri partigiani, la libertà andava voluta, perseguita, costruita. Non qualcosa di statico, quindi, ma un processo dinamico, un impegno costante.
È questo il senso e il lascito più profondo di quella formidabile pagina della nostra Storia. La nostra identità, la nostra unità nazionale in quel tempo. Da quella spinta verso la libertà, la democrazia e la pace, nacque la Repubblica e si avviò il cammino, nello spirito del Manifesto di Ventotene, che portò alla costruzione della nostra casa comune europea.
Rispetto alla libertà, a metà degli anni Cinquanta uno dei nostri Padri costituenti, Piero Calamandrei, diceva – raccontando ai giovani che lo ascoltavano cosa fosse il senso di asfissia provato durante la dittatura – che “è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare”.
Oggi più che mai, ci rendiamo conto che davvero è così: che non solo la libertà, ma anche la democrazia, vanno sempre difese e affermate, perché non sono mai date una volta per sempre, non sono intangibili, non sono purtroppo inviolabili.
Le lancette della Storia hanno iniziato ad andare indietro a febbraio di tre anni fa, quando la guerra è tornata a ferire il cuore dell’Europa, quando un popolo ha dovuto impugnare le armi e resistere per difendere la propria libertà di fronte all’aggressione di un’autocrazia che non poteva sopportare che uno Stato vicino avesse scelto il modello di società aperta e di democrazia europea.
Negli ultimi mesi, quelle lancette hanno iniziato a correre più velocemente: con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, stiamo assistendo a un oggettivo sconvolgimento dell’ordine mondiale, di quell’assetto multilaterale delle relazioni internazionali, basato su regole certe e condivise, che ci ha permesso di conoscere lunghi decenni di pace.
Un assetto che si vuole brutalmente sostituire, in una saldatura di interessi che ha portato a coniare il termine “trumputinismo”, con la regola del più forte. Con logiche nazionaliste di potenza di tipo ottocentesco. Con il ritorno del protezionismo e dei dazi che ha condotto ad un passo da una folle e pericolosa guerra commerciale. Con un attacco diffuso – ultimo bersaglio le Università americane – a tutto ciò è “DEI”: diversità, equità e inclusione.
Tutto questo deve non solo rappresentare per l’Europa una potente sveglia, pena la caduta nell’irrilevanza sullo scenario internazionale: deve essere anche un richiamo, per tutti noi e di certo per il Partito democratico, a sentire il dovere supremo di non disperdere un patrimonio così grande e prezioso come quello racchiuso nella Festa della Liberazione.
È solo rimanendo coerenti con i nostri valori fondanti che potremo costruire un futuro migliore.
Per il Veneto, l’Italia e l’Europa. Per tutti i cittadini veneti, italiani ed europei. Come seppe fare quella straordinaria generazione.


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