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Il tempo del Caos e la necessità di un’alternativa


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Gli avvenimenti di questi giorni richiamano alla mente le parole di Papa Francesco sulla “terza guerra mondiale a pezzi”: un conflitto globale, non dichiarato, con diversi epicentri di guerra sparsi nel mondo.


L'Ucraina, paese libero e sovrano invaso dalla Russia di Putin, con le sue mire imperialiste che hanno riportato la guerra nel cuore dell'Europa. Gaza, teatro di una immane tragedia umanitaria causata dalla sproporzionata e criminale reazione del governo Netanyahu di fronte al barbaro eccidio del 7 ottobre messo in atto da Hamas. E ora il conflitto tra Israele e Iran, che sta incendiando il Medio Oriente e rischiando di trasformarsi in un conflitto su larga scala, travalicando i confini della regione e coinvolgendo le grandi potenze globali.


Il problema più grande, la questione vera, è proprio questa: stiamo assistendo ad un ritorno indietro delle lancette della Storia, con il riemergere di logiche di potenza nel segno del nazionalismo più aggressivo. Logiche che stanno gettando il mondo nel Caos, perché colpiscono al cuore i principi del multilateralismo e del diritto internazionale su cui si è retto l'ordine mondiale dal dopoguerra in poi. Un ordine certo imperfetto, ma che ha garantito, in particolare nel nostro Continente, decenni di stabilità e di progresso.


Con il paradosso che a dare lo scossone più forte a questo assetto sono stati proprio coloro che ne sono stati il principale pilastro: gli Stati Uniti. Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca è stato in tal senso decisivo, tra disimpegno dagli accordi internazionali e una visione della politica estera non isolazionista ma duramente unilaterale, basata esclusivamente sui propri interessi nazionali.


È evidente, in questo scenario, che l'Europa è di fronte ad una sfida esistenziale. L'alternativa è secca: unirsi davvero, procedere ad una compiuta integrazione, cominciando col superare il vincolo dell'unanimità decisionale, oppure finire ai margini e cadere nell'irrilevanza, persino nella disgregazione.


Va presa con decisione la prima strada. Perché di un'Europa forte hanno bisogno le speranze di pace in tutti i fronti attualmente aperti. E perché questo è l'interesse di ogni singolo Paese europeo, a cominciare dal nostro.


Purtroppo da parte del governo italiano non sembra esserci né la consapevolezza della posta in gioco, né la determinazione necessaria a svolgere un ruolo positivo. All'afonia su Gaza si aggiunge ora l'inerzia – con la premier incapace di scegliere tra i nostri interessi legati all'Europa e quelli della sua parte politica legati a Trump – nell'assumere una seria iniziativa diplomatica.


Ma d'altra parte, al di là dei sondaggi e delle narrazioni di comodo, a dimostrare l'inettitudine di un governo impegnato solo a varare decreti inutili o dannosi ea litigare su improbabili terzi mandati in vista delle regioni, è la situazione reale del Paese. Fotografata sia dal recente Rapporto Istat, sia da quello della Caritas di qualche giorno fa: la produzione industriale è ferma da due anni, i salari sono i più bassi tra i Paesi del G20, la sanità soffre per i tagli e le liste d'attesa si allungano, il caro bollette, l'emergenza casa, i giovani emigrano. E la povertà cresce tra famiglie e lavoratori, con le richieste di aiuto che nel Nord Italia, compreso il Veneto, aumentano del 77%.


Gli italiani, i veneti, meritano altro, hanno il diritto di avere un'alternativa, di poter scegliere una strada migliore rispetto a quella percorsa in questi anni.


A noi, al Partito democratico, spetta il compito di essere il pilastro attorno a cui costruire questa possibilità. Le recenti elezioni amministrative lo hanno dimostrato: unità, anche in Veneto, avanzando proposte e programmi concreti si può competere, si può vincere.

 
 
 

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